Malattia e simbologia psicologica, articolo psicologo Napoli Diego De Luca
La malattia non esiste. Esiste l’essere umano malato.
Che non sta bene, che soffre, le cui funzioni normali cedono.
E anche se due persone soffrissero dello stesso male, comunque le modalità delle loro malattie sarebbero differenti.
Con questa frase è possibile iniziare il nostro discorso sul concetto di malattia e simbologia psicologica.
Innanzitutto bisogna evidenziare la presenza di una predisposizione genetica, familiare e costituzionale.
Conoscere la salute dei propri avi significa poter prevedere e provvedere, ricorrendo ai ripari e trovando le soluzioni più adatte a scongiurare questi eventi.
Esistono, poi, i fattori acquisiti dall’ambiente e legati al vostro stile di vita.
Nella realtà quotidiana tutte queste cause non si escludono affatto a vicenda ma anzi colludono ad alterare l’equilibrio del nostro organismo.
Per esempio le componenti psicologiche possono essere secondarie, cioè susseguenti, a una diagnosi nefasta che ci viene propinata brutalmente, per cui subiremo ansia o depressione.
Ma può succedere anche l’incontrario, ovvero una condizione di stress cronico può essere l’elemento scatenante una condizione di cattiva digestione in un soggetto predisposto.
Quando ci troviamo di fronte a un malato, allora, dobbiamo ipotizzare sempre la presenza di tre radici che interagiscono fra loro: la componente genetico-familiare, quella acquisita e quella psichica.
In certi casi potrà essere dominante la componente ereditaria, come nell’emofilia, in altre la componente acquisita come nel tumore al polmone dei fumatori, in altre la componente psichica come nella maggior parte delle malattie dermatologiche.
Comunque possiamo sempre verificare, nella clinica, la compresenza delle tre radici.
La stessa malattia, per esempio l’ipertensione arteriosa, potrà essere tipicamente ereditaria in certi soggetti, acquisita per malattie renali in altri, ovvero di origine psicosomatica in altri ancora.
Se vogliamo, quindi, affrontare una malattia in modo completo, dovremo sempre cercare di tenere presenti queste tre radici perché bisogna cercare di individuarle e disinnescarle nei limiti del possibile.
Insomma tre radici della malattia impongono da parte dei curanti anche una triplice visione del problema, una visione in profondità, stereoscopica, a più dimensioni, anche se talvolta una sola delle radici sarà quella dominante.
Purtroppo, oggi la componente genetico- familiare è quella che meno può essere affrontata.
Le componenti organiche, invece, sono validamente affrontate dalla medicina e dalla chirurgia moderna, sia a livello terapeutico, per esempio l’uso degli antibiotici per sgominare le otiti batteriche o le sempre più specifiche cure dei tumori, sia nella capacità di indicare i fattori di rischio che devono essere eliminati (alimentazione ricca di grassi saturi, vita sedentaria, fumo, inquinamento atmosferico, esposizione a sostanze cancerogene, ecc.) e tali processi debbono essere naturalmente, sempre seguiti e migliorati.
Le componenti psicologiche sono sempre state un po’ trascurate.
Eppure dagli anni settanta è stata ormai ampiamente codificata in ambito scientifico la psiconeuroimmunoendocrinologia (PNEI), branca medica che un tempo (ma ancor oggi) era chiamata psicosomatica e che assevera come la condizione psichica sia in grado di modificare il sistema nervoso centrale e quello periferico e, sia direttamente sia indirettamente, anche il sistema immunitario e quello endocrino, e possa creare una serie di effetti sul corpo in tutti i suoi settori.
Nel 1974 lo psicologo Robert Ader scoprì, lavorando nella School of Medicine and Dentistry della Rochester University, che il sistema immunitario era capace di apprendere come il cervello.
Questa scoperta fu il mattone iniziale dell’inizio della PNEI.
Nel 1991 Sheldon Cohen, psicologo presso la Carnagie-Mellon University, mentre lavorava a Sheffield con alcuni studiosi sul raffreddore, valutando lo stato di stress, con diversi test, su alcuni volontari ed esponendoli in seguito al virus del raffreddore, scoprì che si ammalavano il 27% delle persone poco stressate e il 47% di quelle molto stressate, perché lo stress indebolisce le difese immunitarie.
Malattia e simbolo
Un’ulteriore complicazione che ha reso sempre difficile il coinvolgimento dei settori medici non specialistici in questi territori psicologici così complessi è stato il gran numero di scuole diverse che si sono spesso combattute con linguaggi non sempre omogenei e facilmente sovrapponibili proprio perché mancanti della possibilità di utilizzare facilmente parametri ripetibili e falsificabili come nella classica ricerca farmacologica o internistica.
E inoltre il fatto, del tutto strano e elusivo, che in campo psicosomatico il linguaggio della malattia è simbologico e non logico-razionale.
La malattia psicosomatica, cioè, non colpisce casualmente certi distretti rispetto ad altri, ma significa invece precise sue istanze inconsce tramite il supporto che ha a disposizione, cioè il nostro corpo.
La malattia psicosomatica, quindi, parla attraverso il nostro corpo e la malattia è un modo “sano” per esprimere un disagio interiore profondo e non casualmente colpisce un distretto piuttosto che un altro. Ecco perché diversi dermatologi esperti di somatizzazioni, sanno come certe malattie dermatologiche possano e debbano desomatizzate come l’acne sebacea, mentre altre invece no, come la psoriasi. Perché le prime nascondono problematiche relativamente semplici da affrontare mentre le seconde, invece, possono, una volta desomatizzate, virare verso le psicosi, malattie psichiche ancor più gravi.
La malattia è un messaggio ma se la si accoglie come un’ospite e ci si occupa troppo di lei, non se ne va. Bisogna curarsene con consapevolezza.
Il sintomo è già, di per sé, parte della soluzione.
Se una persona, per esempio, fumasse in modo consapevole ogni sigaretta, fumerebbe pochissimo.
Gli uomini sono abituati al rumore dell’io e si sentono soli senza questo “io” che giganteggia.
Le malattie psicosomatiche agli organi genitali, infatti, iniziano nelle popolazioni nere con l’arrivo delle mutande e dei reggiseno dei missionari.
Prima non esistevano.
E il dolore dura di più ed è insopportabile se ci si resta attaccati.
Nelle culture dove l’espressione del dolore è proibita, le persone sentono meno il dolore.
Viceversa ove è apprezzata socialmente l’espressione del dolore, le persone lo sanno sopportare peggio.
Simbologia generale
Le malattie sono la rappresentazione di un contenuto inconscio espresso metaforicamente dagli organi coinvolti nella patologia.
E tutto questo avviene nel nostro cervello.
Simbolo è un termine che significa unione.
Più precisamente il concetto di simbolo indica una ri-unione, rimettere nell’uno, nell’intero, nella verità, nel tutto, qualcosa che è stato diviso.
Il simbolo è uno strumento per entrare in contatto con i molteplici piani della verità.
E i livelli più elevati possono essere solo com-presi, cioè riunificati in un capire che è oltre le capacità razionali.
Il simbolo stesso è uno stimolo per magnificare queste qualità intuitive ed entrare nel mondo dell’inconscio collettivo.
Nel Simposio di Platone viene raccontata la storia antica dell’uomo che, all’origine, fu diviso in due e per tutta la vita deve cercare l’alter ego, il gemello o la sorella perduta, la sua parte mancante.
E vi si dice che ognuna delle due parti, maschio e femmina, è simbolo dell’altro, la metà di una unità divisa in due che attesta e fa conoscere l’altra metà.
Il contrario di simbolo, se vogliamo, è diavolo: se simbolo è “getto insieme”, diavolo è “metto in mezzo”, cioè separo.
Interpretazione dei simboli
Per riassumere, quindi, il linguaggio della malattia deve essere letto su tre livelli differenti, quello universale, quello ambientale e quello individuale.
Questo è vero per tutte le malattie.
E per ogni malattia, quindi, è possibile tracciare una pista di lavoro comune per i significati universali e ambientali che dovrà, tuttavia, essere sottoposto a un vaglio di codifica strettamente individuale.
Non esiste cioè in assoluto un nesso di causalità consequenziale sempre eguale a se stesso, ma un’atmosfera, un clima. che sono, tuttavia, nella maggior parte dei casi, assolutamente esemplificativi.
Ecco perché ogni simbolo e ogni malattia non è necessariamente legato a un solo significato ma a un terreno generico, statisticamente molto valido e importante, che, tuttavia non può valere per tutti indiscriminatamente allo stesso modo.
L’interpretazione del simbolo della malattia varrà, quindi, come terreno generico da dissodare, poi, con un percorso schiettamente individuale con specialisti del campo.
La malattia psicosomatica evoca gli squilibri dell’inconscio.
Se sto ingannando una persona amica, mi faccio male con un temperino.
Se qualcosa in me sa di essere debole, curvato sotto il peso delle responsabilità, tenderò a sviluppare problemi che colpiranno e piegheranno la schiena.
Se non riesco ad accettare quello che succede, posso somatizzare con problemi di deglutizione o di gola o gastrointestinali.
Se non posso dire tutto ciò che penso, mi viene la tosse.
Se la vita mi soffoca, potrò creare problemi allergici o di respirazione.
E spesso le forme asmatiche sono attacchi, repressi, del bisogno della madre
Se la vita è troppo impegnativa ne deriveranno cefalee o torcicolli.
Difficoltà a seguire i mutamenti della vita determineranno dolori cronici e forme artritiche.
Parafrasando Ippocrate, potremmo dire che a una mente rilassata e sana corrisponderà una visione nitida e chiara.
L’essere umano è più che la somma dei suoi organi e apparati.
Articolo redatto da Diego De Luca, psicologo a Napoli, psicoterapia a Quarto
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